LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 12

 

15 gennaio 2017 – 2ª domenica del Tempo Ordinario

Ciclo liturgico: anno A

 

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;

a quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio.

 

Giovanni 1,29-34  (Is 49,3.5-6  -  Salmo: 39   -  1 Cor 1,1-3)

                

O Padre, che in Cristo, agnello pasquale e luce delle genti, chiami tutti gli uomini a formare il popolo della nuova alleanza, conferma in noi la grazia del Battesimo con la forza del tuo Spirito, perché tutta la nostra vita proclami il lieto annunzio del Vangelo.


 

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19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Tu, chi sei?". 20Egli confessò e non negò. Confessò: "Io non sono il Cristo". 21Allora gli chiesero: "Chi sei, dunque? Sei tu Elia?". "Non lo sono", disse. "Sei tu il profeta?". "No", rispose. 22Gli dissero allora: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?". 23Rispose:

                "Io sono voce di uno che grida nel deserto:

                Rendete diritta la via del Signore,

come disse il profeta Isaia".

24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?". 26Giovanni rispose loro: "Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo". 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

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  1. Il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!
  2. Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”.
  3. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele”.
  4. Giovanni testimoniò dicendo: “Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui.
  5. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”.
  6. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio”.

 

Spunti per la riflessione

Ho visto. Ho testimoniato.

Io non lo conoscevo, ripete per due volte un assorto Giovanni Battista.

Lo stupore di domenica scorsa (Tu vieni da me?) gli ha spalancato un mondo, un orizzonte, una comprensione del mistero di Dio totalmente inattesa.

Credeva di sapere, credeva di credere, credeva di conoscere. Tutta la sua vita si era consumata intorno a quell’attesa, a quella preparazione, a quell’incontro. Tutta la sua credibilità, che attirava folle dalla lontana Gerusalemme, che sapeva tenere testa alle spie inviate dal Sinedrio per metterlo in difficoltà, era fondata su quella coerenza radicale, quasi indisponente, brutale.

L’ultimo dei profeti, il più grande, il più epico, il più irraggiungibile, ora è spiazzato. Perché solo i grandi uomini accettano di farsi mettere in discussione anche quando credono di sapere. E magari sanno veramente.

Eppure ammette, non gli importa di apparire stolto e di esplicitare un errore o una debolezza.

Io non lo conoscevo.

Ammette che esiste un prima, un avanti che il Nazareno conosce e lui non ancora.

Così è la nostra vita di ricerca. Così inizia questo tempo donato da Dio.

Senza sapere. Anche se già sappiamo. Senza sederci sulle certezze acquisite, sulle cose donate e imparate, senza voler apparire arrivati o sapienti.

Dio sa stupirci, se lo lasciamo fare.

 

Ho visto

Ho visto.

La conoscenza di Dio nasce sempre da un’esperienza. il vedere non è solo un distratto guardare estetico, curioso, superficiale. È l’atteggiamento di chi si pone davanti alla vita con mille domande, ma non per il piacere di ascoltare il suono della propria voce, ma nella consapevolezza che o siamo cercatori o non siamo.

Ho visto, dice Giovanni.

Ha visto Gesù venire verso di lui, dopo il Battesimo. Ha visto un Dio che gli si fa incontro, presente, prossimo, vicino. Come abbiamo visto noi, in questi brevi ed intensi giorni di Natale.

Abbiamo visto un Dio che diventa bambino, che ribalta le nostre prospettive, che colma le nostre stalle, che si rivolge agli sconfitti della storia. Abbiamo visto, se non ci siamo lasciati sopraffare dall’inutile buonismo che emoziona e non converte, se non ci siamo lasciati avvelenare dalla disperazione di chi ha vissuto questo giorni da solo.

Se sappiamo alzare lo sguardo dalla disperazione, se lasciamo il cuore e l’anima andare oltre l’apparenza di una festa diventata mondana, anche noi vediamo il Signore venirci incontro.

È questo il cristianesimo: lo stupore di un Dio che prende l’iniziativa, che annulla le distanze, senza porre condizioni, senza chiedere nulla in contraccambio.

 

Ho testimoniato

Ho visto e ho testimoniato.

Nel vangelo di Giovanni, il cui autore, è bene ricordare, era uno dei due discepoli del Battista che ha seguito il Maestro, il profeta non è un precursore ma un testimone.

Possiamo testimoniare solo se sperimentiamo, non per sentito dire. Possiamo testimoniare solo se ammettiamo di non conoscere e ci poniamo all’ascolto, se ammettiamo di non conoscere a sufficienza. Giovanni testimonia che ha scoperto in Gesù il Figlio di Dio. Non il Messia vendicatore, non un grande uomo, non un profeta o un guru, non un autore spirituale. Il Figlio di Dio, qualunque cosa questa affermazione significhi. La comunità cristiana nascente che racconta questo episodio, mentre Giovanni scrive, ancora non ha sviscerato le conseguenze di questa affermazione. Dell’alta montagna ancora intravvede solo l’alta cima innevata.

Ancora deve salire. Ma la direzione è quella.

Io vi rendo testimonianza. Io, Paolo.

Ho visto e ho testimoniato nella mia vita intensa, complessa, contraddittoria, densa, misteriosa, che Gesù è il Figlio di Dio. E ancora vivo per capire la profondità di ciò che ho visto e che ancora devo capire.

 

L’agnello

Ecco l’agnello che toglie il peccato del mondo.

La voce, ora, è a servizio della Parola. Lo Spirito la riempie di significato. Illumina la comprensione di Giovanni, lo rende testimone. Come accompagna noi alla comprensione. Questo Spirito che si posa su Gesù e rimane, che dimora senza andarsene, che rimane per consolare, per fare compagnia.

Gesù è l’agnello.

Non un leone, non un drago, non una vipera.

Un agnello mite e senza pretese. E tutte le idee di Dio che lo mostrano come un orribile mostro sono visoni demoniache da cancellare e dimenticare.

Un agnello come i tanti sacrificati duranti gli olocausti al tempio. Come i tanti agnelli ancora oggi sacrificati nei nuovi templi dell’interesse, dell’odio, della sopraffazione. Milioni di vittime innocenti. Solidale per sempre, Gesù si schiera al fianco di chi è solo.

E toglie, cancella, elimina il peccato del mondo.

Non i peccati, quelli piccoli o grandi che possiamo commettere e che inevitabilmente commettiamo.

Ma il peccato. Quella distanza che ci allontanava inesorabilmente da Dio. Non esiste più.

Nulla ci può più separare da Dio. Perché questa distanza è stata colmata.

Così la liturgia pone questa Parola all’inizio di questo anno.

Il Figlio di Dio che ci viene incontro, l’agnello che porta il peccato, su cui dimora lo Spirito siamo chiamati ancora a conoscere, ancora a vedere, ancora a testimoniare.

 

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L’Autore

Paolo Curtaz

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Esegesi biblica

 

Giovanni Battista testimonia su Gesù (1, 29-34).

 

L’evangelista Giovanni attraverso le parole del Battista ci presenta Gesù come colui che “toglie”, o meglio, che “prende su di sé” il peccato del mondo. La traduzione italiana “togliere” suggerisce l’idea di “eliminare”, mentre il verbo greco “arein” significa letteralmente “prendere su di sé”. Gesù agli inizi della sua missione, incomincia il suo cammino fra i peccatori e in solidarietà con essi, “prendendo su di sé i loro peccati”.

Gesù, dice ancora l’evangelista, è “l’agnello” di Dio. Questa immagine biblica rievoca quella del servo sofferente di Jhawè che, come agnello mansueto, viene condotto al macello e porta su di sé i peccati del popolo (Isaia 53, 4-7.11-12).

Ma l’immagine richiama anche l’agnello pasquale di Esodo (12,46) che l’evangelista accosterà più tardi alla morte innocente di Gesù in croce: “Non gli sarà spezzato alcun osso” (Gv. 19,36).

Entrambi questi riferimenti portano a vedere nella figura di Gesù il mediatore tra Dio e gli uomini, che accetta di prendere su di sé le conseguenze del male del mondo con un estremo atto di amore e di offerta di sé a Dio, in solidarietà con tutti gli esseri viventi, facendosi, per così dire, come gli agnelli sacrificati nel tempio, “olocausto perenne per tutte le generazioni” (cfr. Es 29,42).

La testimonianza del Battista si conclude con la proclamazione di Gesù “Figlio di Dio”. Tale riconoscimento non è frutto di conoscenza umana, ma è conseguenza del dono dello Spirito. Infatti Giovanni dichiara di non aver conosciuto la persona di Gesù nella profondità del suo mistero di Figlio di Dio, se non dopo aver visto “lo Spirito scendere come una colomba dal cieli e posarsi su di lui” (Gv 1,32; cfr. Is 11,2; 61,1).

Riconoscere in Gesù “il Figlio di Dio” non è un atto di fede che nasce da noi, ma un dono dello Spirito Santo. Prima il Battista non conosceva Gesù, pur essendo suo parente secondo la carne, ma Dio gli ha aperto gli occhi, gli ha fatto riconoscere la sua presenza, gli ha concesso non solo di ascoltare la sua parola, ma di “vedere”.

La “visione” dello Spirito, vale a dire la profonda esperienza di fede che fa entrare  più a fondo nel mistero di Dio, spinge alla testimonianza. Il vangelo e le lettere di Giovanni insistono molto sulla fede come esperienza, donata dallo Spirito, che coinvolge tutta la persona. E spinge a rendere testimonianza: “Ho visto e ho reso testimonianza” dice il Battista.